Musandam, Oman la Natura suprema.

Sono pochi gli angoli ancora incontaminati del Globo, Il Musandam è uno di questi.

Geograficamente posto nella parte più a nord dell’Oman, sbocca sullo stretto di Ormuz fronteggiando l’Iran; geologicamente composto da grandi masse d’arenaria che il Mar Arabico ha scolpito sotto forma di decine e decine di fiordi chiamati Khor.

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Il nostro viaggio è partito da Dubai, a bordo di un mezzo idoneo ad affrontare un luogo privo di strade battute e asfalto; una bellissima Jeep Wrangler.
La grande autostrada a 4 corsie esce da Dubai in direzione Nord est, tagliando il deserto rosso fino alla città di confine di Ras al Khaiman, lì con una repentina svolta a destra l’autostrada termina ed il paesaggio cambia; nell’orizzonte distorto dalla calura appaiono le prime sassose montagne Omanite.
Al termine della cittadina di Al Qir una grande montagna sbarra la strada delimitando nel vero senso della parola il confine tra Emirati ed Oman, le burocrazie per passare la frontiera non sono brevi tantomeno semplici, ma alla fine passiamo imboccando subito la tortuosa strada costiera che ci condurrà in meno di due ore nel cuore del Musandam, presso la città di Khasab.

Sulla strada costiera

La strada costiera TIBAT – KHASAB è un percorso moderno che si snoda per circa 100 km lungo la costa, letteralmente strappato alle rocce è un percorso decisamente suggestivo e panoramico, specialmente sotto la bellissima luce arancio del tramonto;

Arriviamo a Khasab con il buio, la cittadina è molto piccola e si sviluppa tra due grandi piantagioni di datteri ed è incassata tra ruvide montagne…

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Dopo una notte di riposo si riparte all’alba in direzione di KHOR AL NAJD, distante una ventina di km da Khasab; al termine di un bel pezzo di asfalto testiamo le capacità off road del Wrangler arrampicandoci su per una stradina ripida e molto sconnessa; il cielo già si colora di rosa e quando arriviamo in cima lo spettacolo è già iniziato.
Le tonalità marroni dell’arenaria si accostano perfettamente a quelle rosa-arancio dell’alba, la luce filtrando gli strati umidi dell’atmosfera cambia continuamente colore presentandoci una scena che sembra cambiare sempre; imposto la relfex e scatto….scatto in maniera continua senza staccare gli occhi da quella meraviglia.

Con il sole appena sopra l’orizzonte ripartiamo per passare l’intera giornata ad esplorare senza meta la parte più ad est della penisola; la poca gente è cordiale, il posto selvaggio e desolato la Natura assoluta; risaliamo il letto di un torrente per fare bouldering sui grandi massi staccati dalla montagna, camminiamo tra “boschi” di vecchie acacie inseguiti dalle capre….scendiamo la ripida scogliera per raggiungere la spiaggia, covo di contrabbandieri che con veloci imbarcazioni smerciano materiale dal vicino Iran.

Studiando e guardando la cartina ci rendiamo presto conto del livello di asperità del terreno, le montagne con i loro dislivelli dominano sulla fragilità fisica dell’uomo e per addentrarci nel cuore dei fiordi ci affidiamo ad un imbarcazione; un Dhow nello specifico, una tipologia di barca da pesca e trasporto molto diffusa a queste latitudini.

Nonostante il mare piatto, la barca oscilla a causa del suo ventre largo spinta lentamente da un vecchio motore diesel abbastanza rumoroso, nonostante il rumore poco fuori il porto veniamo affiancati da un gruppo di delfini dalla faccia sorridente, che si divertono a saltare sulle nostre onde…

Ci si sente piccoli nel guardare le pareti di arenaria tuffarsi in mare; studiandone le linee sembra proprio che queste si vogliano unire al mare con decisione; nell’insenature chiuse il mare è piattissimo e simile ad un lago, permettendo al paesaggio di specchiarsi in mare e aumentare ulteriormente il senso di spazio percepito. Dietro a qualche insenatura spuntano addirittura delle case, persone che vivono estraniate da tutto in diretto contatto con il mare e con la roccia….penso alla monotona profondità di questo rapporto.

Torniamo in porto con il sole a picco e la pelle già che brucia, non oso immaginare la calura dell’estate!!
Transitiamo di nuovo tra le vie della città di Khasab, tra le reti da pesca e le capre libere in paese; non vi c’è più traccia dell’antica dominazione portoghese se non per il piccolo forte posto ai margini della cittadina.


Ma siamo in movimento di nuovo!! Usciti dal paese l’asfalto scompare precocemente per lasciare spazio ad una strada ripida e (molto) sterrata che si inerpica per le montagne del JABAL HARIM. Il fondo stradale è decisamente impegnativo anche per un ottimo 4×4 come il Wrangler; procediamo lenti sulla carrareccia affiancata dal precipizio il paesaggio è maestoso, la Natura suprema. Accostiamo più volte per guardarci attorno ed ogni volta rimaniamo impauriti coscienti della nostra fragilità. Le pareti verticali di granito sostengono pietre mastodontiche contro ogni legge della gravità e tutto attorno sembra stare assieme con un equilibrio preistorico e millimetrico; c’e quasi paura che anche il movimento delle ruote possa spostare un sassolino che potrebbe generare un’effetto domino di dimensioni apocalittiche. Anche il silenzio è apocalittico.
Quasi sulla vetta dell’altopiano, spunta nun angolo verde che i pastori hanno strappato al  deserto grazie all’acqua torrenziale dei wadi; d’incanto ci troviamo davanti orti, piante di dattero, fichi, prati dove pascolano spensierate decine di capre. Ci fermiamo e conosciamo Said, che sorpreso da altra presenza umana ci invita in casa e ci “spiega” la vita così lontano dal mondo, vita semplice , ma intensa……intesa come il the di erbe che ci offre mentre il sole si nasconde dietro i picchi delle montagne.

E’ buio ormai, torniamo verso la città mangiando frutta secca, ci fermiamo a guardare la luna che sorge dietro le cime irregolari di montagne che forse non hanno mai visto una suola di una scarpa; la luce della luna si mischia quella residua del tramonto e noi ci avviamo verso casa, con gli occhi pieni di vasta e incontaminata Natura.

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